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Divorzio e assegno di mantenimento: cosa è cambiato nell'ultimo anno?



Negli ultimi anni anche i media si sono interessati, a più riprese, a due arresti giurisprudenziali recenti in tema di assegno divorzile: il primo in tema di criteri di riconoscimento e quantificazione dello stesso (con riferimento in particolare alla sentenza della Corte di Cassazione S.U. n. 18287/2018), ed il secondo riguardo alla specifica ipotesi di nuova convivenza dell’ex coniuge beneficiario di assegno (recentissima la ordinanza n. 406/2019, sesta sezione della Corte di Cassazione).


Come è cambiato l'orientamento giurisprudenziale?

Facciamo dunque chiarezza sui due principi espressi dalla Suprema Corte di Cassazione e vediamo se e come è cambiato l’orientamento giurisprudenziale, sempre ricordando che la modifica delle condizioni del divorzio (così come della separazione) può essere richiesta dai coniugi in ogni momento.

In termini di natura e di quantificazione dell’assegno divorzile, va premesso che il legislatore del 1987 è intervenuto fissando il criterio fondamentale per il riconoscimento in quello "dei mezzi adeguati al proprio sostentamento". Di conseguenza, per i successivi 30 anni circa la giurisprudenza si è adattata a tale criterio modulando riconoscimento e quantificazione sui concetti di "mezzi adeguati" e di "conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio".

Tanto sino al 2017 quando la Corte di Cassazione con la nota sentenza n. 11504, prendendo atto dei cambiamenti

socio – culturali e facendo leva sul principio di autoresponsabilizzazione dei coniugi, ha mutato il concetto di "natura assistenziale" dell'assegno, fissandone i nuovi criteri di determinazione: dal parametro del mantenimento del pregresso tenore di vita si è passati a quello dell'autosufficienza economica. Al coniuge richiedente, pertanto, l’onere di provare la mancanza di mezzi propri adeguati o l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.


A distanza di circa un anno è intervenuta nuovamente la Corte di Cassazione, questa volta a Sezioni Unite (con la sentenza n. 18287 dell’11.07.2018), ribadendo sì la natura strettamente assistenziale dell'assegno di divorzio ma introducendo due ulteriori criteri, ossia quello perequativo e quello compensativo, in adesione ai principi costituzionali di uguaglianza e solidarietà tra i coniugi. Tanto in particolar modo in riferimento ad unioni di lunga durata nelle quali – come spesso succede – uno dei due coniugi ha fatto spontaneamente delle rinunce, anche di natura professionale.

Il giudice di merito, pertanto, alla luce del recente arresto, è chiamato ad una valutazione caso per caso al fine di valutare concretamente la sussistenza di un sacrificio compiuto dal coniuge, cosiddetto debole, nel corso della vita matrimoniale e di quantificare tale eventuale sacrificio dopo la fine del matrimonio. La giurisprudenza di legittimità, perciò, sembra aver introdotto un criterio composito, in base al quale ai fini del riconoscimento e della quantificazione dell’assegno divorzile sono da tenere in considerazione sia la possibilità di autosufficienza economica del coniuge richiedente (che comporta, ad esempio, l’indagine sulla difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro), sia le scelte compiute dai coniugi in costanza di matrimonio per valutare se il coniuge “più debole” abbia realmente effettuato delle rinunce a favore della comunità familiare.

Con questa ultima pronuncia di riferimento, quindi, la Suprema Corte sembra affermare che lo scioglimento del vincolo matrimoniale incida sì sullo status personale dei coniugi ma non cancelli in toto effetti e conseguenze delle scelte di vita familiare compiute dagli stessi nel corso della vita familiare a patto che dette scelte abbiano comportato per il coniuge richiedente – che è onerato quindi della relativa prova – il sacrificio della propria posizione e delle aspettative professionali per assumere la conduzione del ménage familiare.

Passando, poi, alla specifica ipotesi di nuova convivenza dell’ex coniuge beneficiario di assegno e, dunque, al secondo arresto giurisprudenziale menzionato (ordinanza n. 406/2019 Cass. Civ.), si osserva come il giudice di legittimità non solo abbia confermato che la formazione di una nuova famiglia – ancorché di fatto – da parte del coniuge beneficiario faccia venir meno il suo diritto alla percezione dell’assegno divorzile, ma sia andato oltre precisando che a tal fine rileva l’esistenza di un rapporto stabile e duraturo a prescindere dall’ufficializzazione del medesimo.

Il caso di specie vedeva la donna beneficiaria di assegno che chiedeva la conferma del medesimo sulla base della percezione di un contributo di assistenza del Comune di residenza (circostanza questa che avrebbe, a suo dire, indirettamente dimostrato l'insussistenza della stabile convivenza con il compagno). Ebbene, a seguito della prova testimoniale fornita dal marito – a mezzo di investigatore privato – circa la sussistenza di una convivenza stabile e duratura della ex moglie, gli Ermellini hanno ritenute infondate le ragioni della donna e ritenuto non dovuto l’assegno, uniformandosi al principio secondo il quale l'instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, pure se di fatto, rescinda ogni connessione con la pregressa fase matrimoniale e dunque faccia venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell'assegno divorzile a carico dell'altro coniuge (principio espresso già da Cass. Civ. n. 6855/2015, e n. 2466/2016).


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