Oggi educare un ragazzo neurotipico può risultare complesso, e ancora di più lo è educare una persona con autismo o disturbi dello spettro autistico. Fin dall’inizio i genitori si pongono mille domande, che possono sorgere ancora prima di pensare a come intervenire a livello educativo, domande come "cos’è questo “male”?", come definirlo e le possibili conseguenze che accadranno nella famiglia. L’importanza di un intervento precoce oggi è riconosciuta anche dalle linee guida sull’ autismo (Linee guida n.21 del 2011), in cui viene consigliato un intervento cognitivo comportamentale A.B.A, unitamente ad altri interventi riconosciuti dal punto di vista scientifico.
Che cos’è l’autismo?
“L’autismo è una sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo biologicamente determinato, con esordio nei primi tre anni di vita. Le aree prevalentemente interessate sono quelle relative all’ interazione sociale reciproca, all’abilità di comunicare idee e sentimenti e alla capacità di stabilire legami con gli altri (Baird, Cass, Slonims, 2003, pp. 488-493).
L’autismo, pertanto, si configura come una disabilità permanente che accompagna il soggetto nel suo ciclo vitale, anche se le caratteristiche del deficit sociale assumono un’espressività variabile nel tempo, ed è una disabilità complessa che tocca le diverse tappe successive dello sviluppo, partendo solitamente dai primi tre anni di vita. I bambini o i ragazzi con autismo hanno difficoltà nella comunicazione verbale e non verbale, nelle interazioni sociali e nelle attività legate al tempo libero ed al gioco. In alcuni casi, può essere presente un comportamento etero-aggressivo o autolesionista, e l’esibizione di ripetuti movimenti del corpo (ad esempio agitare le mani, dondolarsi), chiamati stereotipie digitali/motorie.
Incidenza e funzioni coinvolte
Tale patologia colpisce 1 persona nata ogni 80 nel mondo; non conosce barriere di classi sociali, etnie, sesso (anche se generalmente è una sindrome che interessa maggiormente il sesso maschile e in minor misura quello femminile: si stima 1 bambina su 5 bambini nati (Le Couteur,1990). Le aree colpite nel cervello sono quelle dell’interazione sociale e delle abilità comunicative e quindi di solito si riscontrano, oltre ai problemi di comunicazione verbale e non verbale, anche incapacità di immaginazione (Wing e Gould,1979), nel cogliere le metafore, nello scandire il tempo, nelle attività di lavoro o del tempo libero, nel gioco simbolico e relazionale, nell’umorismo. Le persone con questa disabilità possono essere vocali o non: si stima che il 60% della popolazione con autismo sia non vocale, ma c’è possibilità di intervento: molti studi dimostrano l’efficacia dell’utilizzo della Lingua italiana dei segni (L.I.S), come anche della logopedia, quali strumenti per strutturare un avvio dell’organizzazione del pensiero, quindi della formulazione frastica, e come introduzione all’ utilizzo del comportamento vocale.
Quali sono i comportamenti-problema più frequenti?
Come già scritto, si può rilevare la presenza di comportamenti aggressivi o autolesionisti, auto-stimolatori e di stereotipie (ad esempio sfarfallare o dondolarsi sulla sedia), che possono venire interpretati come possibili palliativi per contenere l’ansia, ma che spesso ostacolano macroscopicamente la quotidianità.
Inoltre esistono grosse difficoltà di tolleranza alle frustrazioni - accettazione del no - e resistenza ai cambiamenti della vita o delle routine.
Il funzionamento sensoriale può essere differente dalle altre persone: ad esempio può essere attratto da specifici suoni o rumori, anche forti e fastidiosi, e non essere per nulla interessato ad altri che avvengono in quel momento nell’ambiente circostante (se ipouditivo); oppure spaventarsi e scappare in presenza di rumori importanti che non è in grado di sopportare (se iperuditivo). Può non tollerare un contatto fisico irruento, quindi accettare a malapena uno sfioramento, (se ipertattile, cioè avente una sensibilità superiore alla norma), o al contrario può invece avere necessità di un contatto robusto e intenso.
Può presentare selettività alimentare, con presenza di comportamenti quali l’alterazione del gusto, o una scelta esclusiva per un cibo o una bevanda (monotematismo) che lo attraggono per forma o colore.
Da quando si conosce questa sindrome?
Questa sindrome è stata osservata 50 anni fa, ma ancora oggi l’eziologia del disturbo è sostanzialmente sconosciuta, anche se molteplici sono le teorie cui si riconducono le teorie educative.
Le ricerche non hanno ancora dato una risposta chiara, ma hanno formulato diverse teorie che vanno dalle cause genetiche, alle cause ambientali, a quelle mediche. I ricercatori presumono che l’eziologia possa essere di natura neurofisiologica, genetica, ambientale, come afferma James Blair in base alle sue ricerche alla MRC Cognitive Development Unit di Londra; in ogni caso viene escluso che sia una psicosi di tipo schizofrenico (come invece veniva un tempo considerata) e non va trattata come tale.
Nel passato e a tutt’oggi quindi ci sono state e ci sono ancora molte dispute riguardo alle cause degli autismi, mentre c’è accordo sulla descrizione sintomatologica. Nel passato ci sono stati duri scontri tra coloro che sostenevano che l’origine fosse da attribuire a problematiche psicodinamiche determinate dalle alterazioni nel rapporto madre-bambino e sostenitori dei principi di origine puramente biologica.
Le attuali ricerche però sono a tutt’oggi preliminari e non si può ancora trarre una conclusione definitiva sull’eziologia del disturbo. Leo Kanner (1943) inizialmente pensò che il disturbo fosse “innato”, ma dall’osservazione dei bambini che frequentavano il suo Centro e delle loro famiglie, suppose che il motivo scatenante dell’autismo fosse da attribuire ai genitori appartenenti a classi sociali di livello culturale più elevato, troppo impegnati in attività intellettuali, soprattutto le madri in carriera. Degli 11 casi da lui osservati, 5 erano figli di psicologi e 6 di genitori universitari. Leo Kanner posò la sua attenzione sui comportamenti della madre in carriera che era più intenzionata ad avere successo nel campo lavorativo e posizionamento sociale piuttosto che essere interessata allo sviluppo del figlio; dunque madre fredda e distaccata.
Bruno Bettelheim psicoanalista statunitense, in base alle sue ricerche, aderì a questa interpretazione e imputò il disturbo ai genitori e alla mancanza di amore verso il bambino, tanto che come guarigione prescriveva l’allontanamento del minore dalla casa famigliare e il ricovero presso un istituto.
Anna Freud, figlia di Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, in base alla sua ricerca sui bambini sopravvissuti all’olocausto, quindi carenti di relazioni parentali, rilevò che non c’era nessuna correlazione tra i bambini sopravvissuti e l’autismo. Negli anni 60 una più attenta valutazione delle coppie genitoriali escluse che i genitori di bambini con autismo differissero per tratti patologici o di personalità da genitori di bambini non autistici.
Dal 1964 Bernard Rimland, direttore dell’Autism Research Institute, in modo sistematico sostenne invece che i genitori di individui con autismo non erano responsabili del disturbo del figlio (teoria della “madre frigorifero” di Bettelheim), ma che l’origine del disagio fosse da ricercare a livello organico. Numerose ricerche attraverso strumenti di neuroimaging (RMN e PET cerebrali) hanno evidenziato anomalie in diverse aree cerebrali, tra cui il cervelletto, l’ippocampo, i corpi mammillari, l’amigdala.
Oggi si parla sempre di più di eziologia multifattoriale e multicausale. In linea di massima c’è un generale accordo sulle cause a base biologica; nel contempo avanzano importanti studi di endocrinologia e bioenzimatica.
Un intervento educativo mirato e personalizzato al soggetto con autismo può migliorare significativamente sia la sua vita, poiché lo si aiuta con ad allenare le risorse presenti, a raggiungere le autonomie possibili e a poter godere del mondo intorno a lui, sia quella della sua famiglia, con la quale si collabora per raggiungere obiettivi di benessere e armonia.
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