Con l’avvio del nuovo anno scolastico può capitare che i bambini e i ragazzi presentino condizioni di stress legate all’ansia da prestazione nei confronti del contesto scolastico in generale ed in particolare verso gli insegnanti e i coetanei: “sarò all’altezza di…?”, “sono abbastanza bravo/a?”. La giovane età non è infatti garanzia di non provare sensazioni negative, con l'aggravante che i più piccoli non hanno neppure gli strumenti psicologici giusti per far fronte correttamente alle situazioni che possono metterli in crisi.
L’ansia da dove nasce? Nonostante che possa sembrare paradossale, l’ansia da scuola può derivare in gran parte dai comportamenti e dai messaggi che noi adulti, il più delle volte in maniera inconsapevole, veicoliamo ai nostri figli. E’ assolutamente normale che il genitore desideri che il proprio figlio o figlia studi e che abbia un buon rendimento scolastico. In alcune situazioni tale attenzione può essere interpretata dai figli come “io esisto, sono amato e degno di attenzioni solo se soddisfo certe aspettative (quelle dell’adulto)”. I bambini e i ragazzi possono infatti andare ben oltre alle nostre parole interpretandole soggettivamente.
Come possiamo aiutare veramente i nostri figli?
Ecco 10 suggerimenti utili.
1. Il disco che si incanta sulla traccia: “Com’è andata a scuola?”
La prima domanda che spesso facciamo ai nostri figli, una volta presi all’uscita della scuola oppure una volta rientrati a casa, è: “Come è andata oggi a scuola?”.
La domanda ci viene in modo spontaneo e naturale ma è una domanda che va evitata: in primis perché genera sempre la stessa risposta (“bene”), ed in secondo luogo perché passa il messaggio che al genitore importa solo il rendimento scolastico. Proviamo invece a chiedergli come è stato a scuola, oppure a raccontargli com’è andata la nostra giornata o ad interpellarlo su un qualunque altro argomento. Spostiamo insomma la nostra attenzione dalla sua prestazione alla sua persona.
2. I compiti? Meglio che li faccia da solo
L’ansia da prestazione viene alimentata anche dallo stare in apprensione per i compiti dei figli. Vanno quindi evitati i classici interrogatori pomeridiani: “Che compiti hai?... (o peggio, “Che compiti abbiamo?")..."Hai ripassato italiano?”... Il processo di autonomia si costruisce dando fiducia al bambino di potercela fare da solo. Se è più piccolo, lo si aiuta ad organizzare lo studio, si chiariscono eventuali dubbi (se ce lo chiede), si fa una supervisione finale, ma non ci si siede a fare i compiti con lui.
Per spronarlo a fare da solo e ad impegnarsi, promettiamogli invece un’attività piacevole da fare insieme dopo, come un gioco da tavolo o un cinema (non la spesa al supermercato!). E, ovviamente, le promesse vanno mantenute.
3. Evitate di dire: “hai sbagliato”!
Se a scuola sbaglia un problema o a casa fa male un disegno, non mandiamo all’aria l’intero operato (‘non si fa così!’), ma cerchiamo di capire piuttosto come ha ragionato ed in che cosa ha trovato difficoltà. Il nostro interesse deve mirare alla “procedura” più che alla prestazione, anche perché certe cose che a noi possono sembrare sbagliate per loro sono giuste.
Per esempio in un bambino di 5-6 anni è normale che non riesca a colorare dentro i contorni o che usi i colori in maniera non realistica: se ad esempio ha fatto il cielo rosso interessiamoci a quel che ha fatto, chiedendogli perchè, piuttosto che dire o pensare che è il cielo va disegnato in azzurro.
4. Quando agitarsi non serve: se l’interrogazione è andata male, stiamo tranquilli.
Se torna a casa con un brutto voto, non dobbiamo mostrarci preoccupati o farci venire l’ansia noi per primi. Ricordiamoci che noi genitori siamo i ‘piloti dell’aereo’, e se c’è una turbolenza il pilota non può farsi vedere dal passeggero più spaventato di lui, ma avere l’atteggiamento rassicurante di chi è certo che si arriverà sani e salvi a destinazione.
5. Mostriamo comprensione per la sua ansia
Per un figlio è importante che il genitore mostri di comprendere il suo stato d’animo a prescindere da quale esso sia. Le frasi giuste possono essere per esempio le seguenti: “Immagino come ti senti, so che cosa stai provando, anche io starei così al posto tuo”, magari rievocando qualche episodio simile successo anche a noi o nella nostra infanzia.
Parlando in questo modo, il genitore trasmette il messaggio che sa quel che il figlio prova, che ci è passato anche lui e che ce la si può fare; dimostra al bambino ccoglienza e la possibilità di poter contare su di lui.
6. Pensare in positivo
Il bambino ansioso si fascia la testa in partenza: in vista di una verifica, è portato a pensare in maniera catastrofica: “andrà male, farò scena muta, prenderò un brutto voto, farò una figuarccia...” Ancora una volta, spetta a noi adulti il compito di smorzare il catastrofismo e trasformare il pensiero negativo in un ventaglio di alternative ottimistiche. Sproniamolo ad immaginare e costruire altri scenari: magari il compito sarà proprio sull’argomento che conosce meglio, magari la maestra farà domande semplici, magari andrà benissimo. Le possibilità possono essere innumerevoli: perché pensare al peggio?
7. Aiutalo a sopportare la frustrazione
A volte i ragazzi sentono il peso della scuola anche perché non sono mai stati abituati a sopportare la sconfitta ed il senso di frustrazione che ne deriva, magari perché hanno sempre camminato con l’aiuto del ‘bastone’ dei genitori. A quel punto spetta a noi adulti insegnare che nella vita si può cadere, ci si fa male, ma poi ci si rialza e si ricomincia a camminare (con le proprie gambe). Nessuno di noi è infallibile.
8. Facciamo il meccanico: insegniamo a smontare l’ansia
L’ansia può essere contrastata anche attraverso tecniche di rilassamento, con esercizi di respirazione e meditazione da fare prima di andare a scuola o in vista di un’interrogazione. Un altro stratagemma utile è invitare a personificare l’ansia, disegnandola in maniera buffa o dandole un nome ridicolo, in modo da sdrammatizzarla e sgonfiarla. Se non possiamo eliminarla del tutto, possiamo imparare a conviverci, quasi come fosse un fratellino un po’ dispettoso.
9. Quando l’ansia sale, meglio rompere il ghiaccio e svelarsi
Se all’inizio dell’interrogazione arriva l’ansia, suggeriamo al bambino di dire apertamente che è un po’ agitato. E’ un modo per rompere il ghiaccio con l’insegnante, che sicuramente reagirà con un sorriso o una piccola dritta che rimette l’alunno sul binario giusto.
10. Se non passa, non aver timore di chiedere il parere di un esperto
Se, dopo aver adottato i vari accorgimenti, l’ansia non passa, può essere utile fare una chiacchierata con uno psicologo, per capire che cosa si nasconde dietro l’atteggiamento ansioso e che cosa vuol comunicare il ragazzo attraverso l’ansia.
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