La malattia di Alzheimer è caratterizzata sia da disturbi cognitivi, come la compromissione della memoria, del linguaggio, dell’attenzione, che da disturbi comportamentali che rendono gravosa la gestione della persona malata da parte del caregiver, cioè la persona che si prende cura del malato e che trascorre con lui la gran parte della giornata.
I disturbi comportamentali sono i seguenti: deliri, allucinazioni, aggressività/agitazione, ansia, depressione, apatia, euforia/esaltazione, irritabilità/labilità, disinibizione, attività motoria aberrante, disturbo del sonno, disturbo dell’alimentazione.
Non tutti questi disturbi sono presenti in uno stesso malato e in ogni persona possono assumere espressioni diverse sia per quanto riguarda la forma, sia per gravità e intensità.
E' possibile misurare tali disturbi attraverso un test chiamato Neuropsychiatric Inventory (NPI), che viene somministrato al caregiver, e che ne misura la frequenza e la gravità, oltre allo stress emotivo e psicologico del caregiver.
Deliri e allucinazioni
I deliri sono un disturbo del pensiero; il malato appare convinto di qualcosa che non c’è e crede che cose non vere stiano realmente accadendo. La persona malata crede che lo stiano derubando, che qualcuno voglia fargli del male, che qualcuno (la propria moglie o marito) lo tradisca, che i familiari vogliano abbandonarlo, che il coniuge o qualcuno della famiglia non siano chi dicono di essere, che un personaggio della tv sia reale e dialoga con esso o si agita per la sua presenza.
I deliri possono associarsi ad allucinazioni che sono invece un disturbo della percezione. L’ammalato crede di sentire voci o di vedere persone inesistenti e, sulla base di tali percezioni errate, costruisce storie, elabora pensieri, formula frasi e discorsi non attinenti alla realtà.
Cosa possiamo fare quando ci troviamo di fronte ad una persona che presenta deliri o allucinazioni? Per la gestione di questi disturbi è molto importante la reazione di chi si prende cura di lui, in particolare:
non smentire il malato ma dimostrargli che si capisce il suo stato d’animo;
non deriderlo, meglio assecondare i suoi discorsi;
individuare, ridurre e se possibile eliminare le fonti di disturbo (ad esempio la televisione o la radio che non vengono più riconosciute per quello che sono, né per la loro funzione);
evitare i cambiamenti d’ambiente;
chiedere al medico se la terapia in uso è adeguata.
Aggressività
L’aggressività può manifestarsi in due modi:
sotto forma di aggressività verbale (insulti, parolacce, bestemmie, maledizioni, linguaggio scurrile)
sotto forma di aggressività fisica (il malato picchia, graffia, morde, scalcia, sputa, oppone resistenza, respinge).
Questo disturbo si manifesta improvvisamente ed è spesso una reazione difensiva del malato da qualcosa da cui si è sentito minacciato. La persona ammalata non è in grado di decodificare, interpretare e comprendere pienamente ciò che gli accade intorno. Per questo motivo, un tono di voce aspro o avvicinarsi al malato senza che se ne accorga, potrebbero essere vissuti come degli attacchi rivolti alla sua persona e potrebbero suscitare reazioni aggressive.
Allo stesso modo se il malato ha smarrito il concetto di lavarsi e l’acqua non è più riconosciuta come tale, ma avvertita come qualcosa di estraneo e incomprensibile, si può capire come risulti difficile per la persona lasciarsi fare sul proprio corpo una serie di cose prive di senso.
Quali strategie si possono adottare per la gestione dell’aggressività? Prima di tutto è fondamentale comprendere se la causa del comportamento proviene da problemi fisici, psicologici o dell’ambiente esterno (confusione, rumore, tv alta, martello pneumatico in strada). Per il caregiver è necessario capire che non c’è intenzionalità nell’aggressività del malato nei suoi confronti, che la sua rabbia non è volontariamente rivolta verso di lui ma è il modo attraverso cui manifesta di un disagio. In tal caso non ha perciò senso sgridarlo o fargli la predica, così come non ha senso chiedergli perché si comporta così.
È necessario quindi:
Spostare e attirare la sua attenzione su uno stimolo piacevole, che produca benessere al malato al fine di diminuire la quantità di attenzione, ad esempio per poter compiere manovre assistenziali che non gradisce come lavarlo, spogliarlo, vestirlo.
Conoscendo la persona con la sua storia e quelli che sono stati i suoi interessi, si possono trovare degli stimoli interessanti e attraenti per la persona e utilizzarli al momento opportuno (una filastrocca, una vecchia canzone, un ricordo piacevole che lo può mantenere concentrato per un po’) oppure si può fargli tenere in mano qualcosa o dargli un cibo da mangiare che gli piace.
Non insistere, rinviando magari in un secondo momento la proposta. Spesso, quando ritorniamo dopo un po’ di tempo possiamo trovare la persona più disponibile oppure può capitare che, in quel momento, il messaggio che gli stiamo dando venga compreso mentre in precedenza no.
Cambiare la persona che propone l’attività, quando questo è possibile. Ad esempio al posto del coniuge può provare un figlio a proporre un’attività o a spostare l’attenzione della persona malata. Come a noi alcune persone risultano più simpatiche di altre, allo stesso modo alla persona con demenza alcuni volti (per le caratteristiche e i tratti somatici) possono attrarlo positivamente e altri possono invece ricordare un volto detestato in gioventù.
Prestare attenzione al comportamento non verbale. Mostrarsi calmi, sicuri e autorevoli attraverso atteggiamenti del volto, del corpo, dei gesti.
Utilizzare rinforzi positivi.
Evitare situazioni stressanti come frequentare luoghi troppo affollati (mercato o supermercato) o dove ci sono tempi lunghi di attesa (sala d’aspetto del medico).
Assicurare un ambiente tranquillo. Evitare che nell’ambiente ci siano troppe persone, luci troppi forti, il volume della televisione o della radio troppo elevati.
Stimolare il malato a svolgere attività fisica, hobby o qualche attività che lo interessa.