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I limiti all'amministratore di sostegno in ambito sanitario: rifiuto delle cure mediche in assen


In mancanza di disposizioni anticipate di trattamento (DAT), l'amministratore di sostegno può rifiutare le cure sanitarie vitali per il soggetto incapace?"


Una recente pronuncia della Corte Costituzionale (la n. 144/2019) ha posto l’attenzione sul limite ai poteri conferiti all'amministratore di sostegno in materia sanitaria, con particolare riferimento alla questione delle disposizioni anticipate di trattamento e del consenso informato.

La questione di legittimità posta all’attenzione della Corte aveva ad oggetto l'art. 3 co. 4 e 5 della L. n. 219/2017 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) nella parte relativa ai poteri dell'amministratore di sostegno (ADS) in ambito sanitario, in particolare dove prevedono che “ … Nel caso in cui sia stato nominato un amministratore di sostegno la cui nomina preveda l'assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall'amministratore di sostegno ovvero solo da quest'ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere” e che “Nel caso in cui … l'amministratore di sostegno, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) … rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare …” (art. 3, co. 4 e 5 L. n. 219/2017).


Il giudice tutelare del Tribunale di Pavia nel rimettere la questione alla Corte Costituzionale evidenziava come le norme censurate, prevedendo la possibilità che l’ADS possa rifiutare senza l’autorizzazione del giudice tutelare le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato, si porrebbero in aperto contrasto con gli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione, fondamento del diritto, personalissimo ed inviolabile, a rifiutare le cure.

Come sottolineava il giudice rimettente, l’attribuzione all’amministratore del potere di rifiutare le cure necessarie (nella specie, sotto forma di rappresentanza esclusiva) ricomprenderebbe necessariamente il potere di rifiuto delle cure, ancorché si tratti di cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato, e qualora tale potere venisse riconosciuto ex lege all’ADS, questi avrebbe il potere di decidere della vita e della morte dell’amministrato senza che tale potere possa essere sindacato dall’autorità giudiziaria.

Benché tale ragionamento non sia stato poi condiviso dalla Corte Costituzionale, l’iniziativa del giudice lombardo è stata spunto di una fruttuosa riflessione da parte della Consulta circa i poteri ed i limiti dell’ADS in ambito sanitario, vieppiù alla luce della recente legislazione di regolamento delle DAT (entrata in vigore l’1 gennaio 2018).



Cosa è l' ADS?

Vale la pena ricordare che l’ADS è istituto introdotto nel nostro ordinamento con la L. n. 6/2004 con la finalità di “tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente” (art. 1 L. n. 6/2004), in ossequio al principio di gradualità della misura. Il Legislatore, in sostanza, si è posto il preciso obiettivo di elaborare un istituto di sostegno flessibile ed adattabile alle specifiche esigenze di protezione dell’interessato, evitando di isolare quest’ultimo dal mondo esterno e perseguendo l’obiettivo del minor sacrificio possibile della sua capacità di autodeterminarsi. Tutto ciò si concretizza, in pratica, nella individuazione da parte del giudice tutelare dei poteri specifici che vengono attribuiti all’ADS.

Ben si comprendono, pertanto, i dubbi di incostituzionalità sollevati dal giudice tutelare di Pavia: è la stessa ratio dell'istituto dell'ADS, pertanto, a richiedere che sia il giudice tutelare a modellare anche in ambito sanitario i poteri dell’amministratore sulle concrete necessità del beneficiario, stabilendone volta per volta l'estensione nel solo interesse dell'amministrato. Sarebbe, inoltre, incostituzionale – sempre secondo il giudice rimettente – attribuire all’amministratore un diritto personale e non eterodeterminabile come quello di specie.


Tuttavia, come argomenta la Corte Costituzionale, l’esegesi dell’art. 3, co. 4 e 5 della L. n. 219/2017 “porta allora conclusivamente a negare che il conferimento della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario rechi con sé, anche e necessariamente, il potere di rifiutare i trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita. Le norme censurate si limitano a disciplinare il caso in cui l’amministratore di sostegno abbia ricevuto anche tale potere: spetta al giudice tutelare, tuttavia, attribuirglielo”.


In conclusione, in assenza di valide DAT espresse dall’incapace, perché la decisione sul rifiuto delle cure sia espressione dell'interessato e non del suo rappresentante, deve ricorrersi al giudice tutelare affinché si faccia garante delle esigenze del soggetto amministrato, provvedendo alla ricostruzione della sua volontà mediante la valutazione di indici sintomatici ed elementi presuntivi, tutto al fine di assicurare che la scelta in questione non sia espressione di un giudizio personale dell'amministratore di sostegno.


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