Cos’è l’ iperconnessione?
L’utilizzo incontrollato dello smartphone sin dalla tenerà età, il babysitter economico ma che alleggerisce il compito di mamma e papà, è il punto di partenza di un sistema educativo che implica uno sviluppo psicofisico deficitario, incompleto e dannoso. Il mondo viene filtrato da uno schermo, le relazioni e i legami empatici si affievoliscono come la carica delle batterie, in un utilizzo sempre più compulsivo di un dispositivo che sostituisce il volto reale delle altre persone con un' “immagine profilo”.
Ma cosa comporta questo nostro essere eternamente connessi?
Implica il perderci quei momenti di vita in cui potremmo godere di relazioni faccia a faccia, di esplorazioni introspettive e dell'ambiente, di confronto con gli altri.
Non dovremmo iniziare a preoccuparci delle conseguenze di ciò che perdiamo?
Ogni azione sociale sin dalla più tenera età compartecipa al nostro sviluppo cognitivo ed emotivo, nella direzione dell’arricchimento o della perdita, ed oggi, dopo l'avvento di internet, dello smartphone, dei social media, dei motori di ricerca, ci accorgiamo che la parte della perdita corre il rischio di essere profonda: filtrare un’esperienza tramite un telefonino, o sostituirla addirittura, impoverisce quell'afflusso di stimoli che contribuisce allo sviluppo di un individuo.
Non si vuole demonizzare l’utilizzo della tecnologia ma far capire che, come in tutte le cose, c'è un’ età per cominciare e un limite di utilizzo. Bisogna essere consapevoli che, per il principio di plasticità del cervello, quelle azioni che affidiamo ad un supporto tecnologico tolgono allenamento al nostro cervello stesso, al punto da arrivare anche a fargli perdere l’attivazione di alcune funzioni: ad esempio le capacità di calcolo e orientamento, se affidate totalmente alla tecnologia, si affievoliscono nella nuova configurazione del nostro cervello.
Premettendo che dati alla mano i danni da iperconnessione potranno essere definibili solo nei prossimi decenni, oggi possiamo parlare degli effetti a breve termine che l'utilizzo eccessivo dei nostri dispositivi e smartphone hanno sulla nostra psiche e sulle nostre capacita cognitive.
Analfabetismo funzionale
L’iperconnessione accentua tra le altre cose una condizione, detta “analfabetismo funzionale”, che già nel 1984 l'Unesco definiva come: “…la condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”.
L'analfabetismo funzionale è in realtà un concetto molto dinamico e complesso, continuamente ridefinito dallo sviluppo della società, anche se per questo non può essere definito precisamente.
Nella società odierna l'analfabetismo funzionale ha una stretta relazione con gli effetti dell' iperconnessione o dipendenza da device. Anche se di fatto vi è un'origine che non risiede nell'utilizzo delle moderne tecnologie vista la data di definizione dell'Unesco, tuttavia esso può essere inserito all'interno delle “patologie da iperconnessione”.
In riferimento alla alfabetizzazione funzionale possiamo dire che tramite lo smartphone il nostro cervello si è allenato a non distinguere e non processare più le informazioni ma ad accettare ciò che ci viene presentato, non riuscendo neanche più a distinguere un’informazione vera da una falsa.
Cosa stiamo perdendo con l’iperconnessione?
Stiamo perdendo o iposviluppando importantissime competenze sociali.
Il rispetto, la gentilezza, l’empatia ossia la capacità di mettersi nei panni dell’altro e “sentire” le sue stesse emozioni, sono tutte competenze sociali fondamentali alla base dello star bene insieme, di una comunicazione efficace e di relazioni positive.
Si tratta di abilità che non bisogna perdere di vista, che vanno assolutamente nutrite e protette, soprattutto oggi che si interagisce sempre di più da dietro uno schermo di uno smartphone, tablet o pc, con una comunicazione prettamente sintetica ed instantanea.
Lavorando con i ragazzi nelle scuole, ci rendiamo conto di quanto abbiano difficoltà a gestire, da un punto di vista emotivo, i litigi, le incomprensioni, e a risolvere i conflitti. Molti di loro ammettono che preferiscono comunicare con gli altri tramite whatsapp e i social network piuttosto che faccia a faccia, anche quando si tratta di discussioni e chiarimenti, sebbene questa modalità crei solitamente molti fraintendimenti.
Cosa possiamo fare? Un piccolo esercizio
Un esercizio molto semplice e funzionale è quello proposto da Thomas Gordon (1994) e si intitola: “Rispecchiare senza fare domande”.
Il genitore o l’adulto di riferimento pone l’attenzione sugli stati d’animo del proprio figlio facendo semplicemente da specchio alle sue emozioni senza aggiungere commenti.
Facciamo un esempio: se notiamo che nostro figlio tornando a casa da scuola ha la faccia triste e arrabbiata, gli diciamo: “Vedo che ci sei rimasto male per qualcosa”, senza aggiungere altri commenti.
Tale esercizio permette ai ragazzi di capire quale emozione stanno dando a vedere al mondo, permettendo quindi a loro di codificarla senza dover prendere in esame i giudizi di valore a loro attribuiti. Tale esercizio permette inoltre ai ragazzi di vedere che gli adulti si accorgono di loro e che sono a disposizione qualora ne avessero bisogno.
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