“Le cose di ogni giorno raccontano segreti,
A chi le sa guardare ed ascoltare…
Per fare un tavolo ci vuole il legno,
Per fare il legno ci vuole l’albero,
Per fare l’albero ci vuole il seme,
Per fare il seme ci vuole il frutto,
Per fare il frutto ci vuole il fiore…”
“Ci vuole un fiore”, scritta da Gianni Rodari e portata al successo da Sergio Endrigo nel 1974, è stata la colonna sonora di molti bambini cresciuti in quegli anni, ma rimane ancora oggi una delle canzoncine più cantate, per la sua bellezza e semplicità. Tuttavia sotto la sua semplicità si nasconde un messaggio molto profondo: tutte le cose sono collegate fra loro.
Raramente ce ne rendiamo conto, ma in ogni momento viviamo grazie a un’alleanza invisibile con gli altri e con ciò che ci circonda.
Per dirla con le parole dell'astrofisico statunitense Neil deGrasse Tyson: “Siamo tutti collegati: gli uni agli altri, biologicamente. Con la Terra, chimicamente. Con il resto dell’universo, atomicamente”.
La dimensione sociale del "NOI"
In senso più strettamente sociale, il sentirsi collegati, il percepirsi come un grande “Noi”, rappresenta un bisogno fondamentale dell’essere umano.
Molte evidenze scientifiche hanno messo in evidenza come il nostro benessere sia profondamente collegato alla connessione con gli altri, all’intimità, alla presenza di una rete sociale, alla condivisione di idee, emozioni e progetti con chi ci è vicino. Il bisogno di appartenenza e il senso di integrazione sono una sorta di pulsione sociale atavica che risiede nel DNA dell’umanità, connessa al profondo istinto di sopravvivenza e conservazione della specie.
Ciononostante attualmente viviamo in una società in cui questa dimensione umana viene spesso messa in secondo piano, a favore della dimensione più individuale dell’IO, dell’affermazione di sé, della competitività e del disinteresse rispetto a un benessere esteso dell’intero gruppo.
Si tratta di due dimensioni apparentemente opposte ma che possono coesistere in modo armonioso, senza limitare le possibilità del singolo, ma anzi, espandendole.
Entrambe sono necessarie al benessere per motivi diversi:
Sviluppare una buona dimensione dell'IO è estremamente importante come base per le relazioni stesse: saper ascoltare i propri bisogni personali, conoscersi e mostrarsi nelle proprie qualità, far valere i propri diritti, far sentire la propria voce anche quando è diversa dal resto del coro, proteggere i propri confini, etc., sono tutte capacità indispensabili per potersi collegare agli altri in modo equilibrato.
Sviluppare la dimensione del NOI (nelle sue varie declinazioni di coppia, amicizia, famiglia, gruppo classe, gruppo sportivo, umanità in generale) ci offre la possibilità di espandere le nostre possibilità, di arricchirci di nuove risorse, di confrontarci e crescere, di collaborare verso uno scopo comune altrimenti impossibile per una singola persona, di essere sostenuti nel momento del bisogno.
Quando il gruppo fa stare bene ogni suo membro, ciascuno è motivato a dare il suo contributo e a fare il massimo. Ecco perché l’appartenenza a un gruppo permette ad un bambino di crescere ed evolvere, di imparare dagli altri, e di soddisfare sia i bisogni sociali, sia quelli individuali, come quello di sentirsi capace, di fare bene, di migliorarsi e di aumentare la propria autostima.
Il neuropsichiatra infantile e psicoanalista Massimo Ammaniti nel suo libro “Noi. Perché due sono meglio di uno” (Il Mulino), ci invita a riflettere su come l’identità personale sia connessa e si regga sugli altri, e di come dovremmo perciò lottare contro l’addormentamento di questa parte di noi, recuperarla e spronarla: in altre parole imparare a “ricollegarci”.
Come si fa a coltivare il senso del Noi?
A livello educativo molto si può fare per coltivare il senso di appartenenza e di condivisione.
Alla base di qualsiasi rapporto esiste una grammatica dello stare in relazione che rappresenta un po’ l’elemento cardine della socialità. Saper stare con gli altri è un’arte che si impara progressivamente, attraverso l’educazione allo stare in una comunità: esistono regole non scritte che regolano i buoni rapporti, stili di comunicazione che si basano sul rispetto dell’altro oltre che di sè stessi, modalità di agire che portano un beneficio dentro alle relazioni e al gruppo oltre che al singolo. Saper vedere il beneficio “allargato” che le nostre azioni possono portare rappresenta uno dei prerequisiti per una buona socialità. Occorre percepire che il “Noi” non è altro che un “Io” più esteso, di cui siamo parte.
A scuola
Nonostante la nostra sia una società tecnologicamente evoluta, il livello di alfabetizzazione relazionale è ancora debole. Negli ultimi anni sta aumentando l’attenzione sull’importanza di un’educazione all’affettività anche nelle scuole, attraverso progetti mirati che hanno lo scopo di rendere più consapevoli bambini e ragazzi sul ruolo delle emozioni e della comunicazione nelle relazioni, insegnando ad ascoltare e ad ascoltarsi e ad attuare scelte di comportamento nel rispetto di sè stessi e degli altri.
La scuola rappresenta una variabile educativa essenziale nel processo di alfabetizzazione emozionale. Ma non dobbiamo pensare che basti far parte di un gruppo classe per sviluppare questo senso del “Noi”. Mai come oggi si sente parlare di episodi di bullismo, cyberbullismo, aggressioni da parte del “branco”. Questo senso “alterato” del Noi basato sull’attacco dell’altro, del più debole, ci dà conferma di come questo bisogno umano di sentirsi parte di qualcosa possa prendere strade pericolose se non educato all’ascolto e all’empatia.
Educare all’empatia e alla collaborazione rappresenta qualcosa di nuovo per il sistema educativo. Le generazioni di oggi sono cambiate anche perché le famiglie sono cambiate. L’autorità della scuola e dell’insegnante vengono messe in discussione, essere una guida per il gruppo classe sta diventando una sfida che richiede nuove strategie che si adattino alla situazione attuale.
Qualcuno ricorda con nostalgia i tempi in cui “si rigava dritto” perché altrimenti l’insegnante e i genitori ti punivano severamente. Tuttavia un’educazione rigida basata sul comando e sull’obbedienza rappresenta in realtà l’esatto contrario di un’educazione che sviluppa senso di responsabilità individuale, ascolto ed empatia. Remissività e subordinazione implicano che qualcuno decida dall’alto senza stimolare le persone a cooperare fra loro, a trovare soluzioni per il bene comune e a confrontarsi.
Per poter gestire in modo positivo il processo evolutivo, occorrono quindi nuovi strumenti e nuove competenze educative che mettano in grado gli educatori di orientarsi in questi territori sociali nuovi, ancora privi di mappe e di sentieri battuti.
Un esempio innovativo ci arriva dalla Danimarca, in cui è stata introdotta l’ora di Klassen Tid, ossia l’ora di Empatia, come una normale materia scolastica. L’empatia non si insegna sulla lavagna, ma imparando ad ascoltare gli altri e a discutere insieme dei problemi. Nelle scuole danesi, durante quest’ora si insegna ai bambini che i problemi possono essere condivisi, che il “Noi” è più forte dell’Io.
Insegnare ad avere un senso del Noi, in un’ottica di educazione civica, non significa soltanto rispettare le regole, ma rispettare se stessi, gli altri e l’ambiente in cui viviamo, a tutto tondo. Il senso civico si manifesta rispettando “ciò che è pubblico, ossia di tutti”, perché chi arriva dopo di noi possa farne uso allo stesso modo. Per questo, avere senso civico significa sentire il senso di responsabilità oltre che di appartenenza.
Sviluppare il senso del Noi in famiglia
Sant’Ignazio di Antiochia diceva: “Si educa molto con quello che si dice, ancor più con quel che si fa, molto più con quel che si è.”
L’apprendimento di un bambino si basa per la maggior parte sull’imitazione, ecco perché il senso del Noi non è qualcosa che può essere spiegato a parole, ma che può essere facilmente assorbito in un ambiente familiare caratterizzato da fiducia, collaborazione, condivisione, disponibilità, aiuto reciproco e il rispetto per ogni cosa. Quando si sente di poter contare sugli altri, ci si sente anche più pronti a rendere il favore mostrando la nostra piena disponibilità.
I laboratori di gruppo per bambini e ragazzi
Carelab, in collaborazione con scuole ed enti privati, propone dei laboratori esperienziali per bambini e ragazzi, con l'obiettivo di aumentare la consapevolezza sul ruolo delle emozioni e della comunicazione nelle relazioni, insegnando a fare scelte di comportamento a favore del benessere e del rispetto per sè stessi e per gli altri.
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